Giorgio Di Maio nasce a Napoli, dove si laurea in Architettura presso l’Università Federico II nel 1990.
Muovendo dalle architetture organiche di F.L. Wright e dal Neoplasticismo di Theo van Doesburg e Piet Mondrian, concepisce fin da subito la progettazione architettonica come conoscenza del valore semantico dei segni e delle intrinseche qualità narrative, che riesce a individuare ed esaltare con facilità proprio attraverso la fotografia.
Già a partire dal 1985, durante gli studi, grazie a una macchina fotografica ricevuta in dono dal madre, intuisce le potenzialità della fotografia come linguaggio per immagini che gli consente di estrapolare dalla realtà un frammento della stessa, autonomo nella forma e nella sostanza, dotato di un contenuto proprio.
Nel 1992 inaugura la sua prima mostra personale, intitolata Colonie di artisti, dando il via a un’intensa stagione espositiva e di ricerca, che procede di pari passo con la professione di architetto.
Nel 1993, dopo un apprendistato che lo ha impegnato anche in un intervento di restauro nei Sassi di Matera, apre infatti il proprio studio di architettura a Napoli.
Qui, dal 1995, è anche responsabile della sezione fotografica del Centro culturale francescano Oltre il Chiostro di Santa Maria La Nova.
Alternando quindi un utilizzo consapevole della fotografia come documentazione di ricerca per l’attività di disegno, a momenti di profonda riflessione e indagine sul linguaggio visivo stesso, Giorgio Di Maio si trova spesso immerso in una riflessione di carattere sociale che intreccia a doppio filo sia con la funzionalità architettonica, sia con la progettazione compositiva dello scatto. In quest’ottica, ogni piccola attività di ristrutturazione diventa per lui un’occasione di ricerca linguistica, corredata da una funzione sociale vissuta in connessione con la città di Napoli.
Nel 2003 amplia i propri interessi fotografici seguendo il master in Fotografia dello spettacolo di Silvia Lelli, allo IED di Milano.
Dopodiché si dedica all’approfondimento della fotografia americana scandagliando ripetutamente la Sezione Americana della Biblioteca Nazionale di Napoli, una delle più grandi in Italia. Qui, in particolare sfoglia André Kertész, Ansel Adams e Minor White, Edward Weston e Alfred Stieglitz, Paul Strand, William Eggleston, la Farm con Dorothea Lange e Walker Evans. Infine, di altro genere, Richard Avedon.
Tra il 2007 e il 2010 attraversa una fase di ricerca sui Paesaggi lucani della Basilicata (Gallery: Nature), avvicinandosi alla terra di origine della madre, esplorandone le radici contadine e le molte contraddizioni con la modernità. Così, vagabondando nelle campagne a caccia di quei segni di vita rurale che sono sopravvissuti al progresso, ha paradossalmente inizio la sperimentazione del mezzo digitale. In questo periodo si risveglia anche un’anima sociale maggiormente attenta alle questioni ambientaliste, che maturerà con la mostra non è Napoli del 2011, una dedica alla propria città in contrapposizione allo scandalo dei rifiuti appena denunciato.
Dal 2013 rallenta progressivamente la professione di architetto per concentrare la sua attività quotidiana sullo studio della filosofia, condotto in autonomia come supporto teorico a una più intensa pratica della fotografia.
Perseguendo un percorso tra le tematiche filosofiche e della storia dell’arte, dal 2016 cura anche una rubrica online sul magazine Osservatorio Digitale.
In questi anni si muove spesso tra Napoli e Milano per approfondimenti e confronti, passando definitivamente dalla macchina analogica a quella digitale.
Nasce l’Armonia nascosta, frutto di una pluriennale sperimentazione che si consolida infine in un preciso modus operandi, consapevole delle proprie motivazioni e finalità. Partendo da Eraclito, l’Armonia nascosta propone la trasmigrazione delle radici mistiche e filosofiche dell’arte astratta di Paul Klee e Vassilij Kandinskij fino alla fotografia, trasformandola in un processo di crescita spirituale e sociale dell’uomo che passa attraverso la documentazione del dato visivo, la ricerca appunto dell’armonia nascosta nella realtà delle cose che vediamo.
I primi progetti che sviluppa sono I senteri dell’acqua e Chiaroscuro (2013-2014), Feminine, Photokina (2016), proseguendo poi con Cristanesimo Arte e Paganesimo (2017), Correspondances (2018), Milano in Armonia (2018), sempre intervallati da continue esplorazioni dell’immateriale nei luoghi del reale.
Nel luglio 2017 Di Maio convoglia questa ricerca online, pubblicando un sito fotografico-filosofico e ottenendo riscontri favorevoli e ampia risonanza su alcuni importanti magazine internazionali dedicati alla fotografia.
Inizia un felice ciclo espositivo che vede la partecipazione dell‘Armonia nascosta a festival nazionali di fotografia, dove incontra il favore del pubblico e della critica di settore, in particolar modo nelle figure di Roberto Mutti e Gigliola Foschi.
Nel 2019, all’interno del saggio di Semiotica 3.0 del Prof. Guido Ferraro, docente di Semiotica e Teoria della narrazione all’Università di Torino, la sua ricerca è nominata accanto a quella di Franco Fontana, Luigi Ghirri e Mario Giacomelli.
Giorgio Di Maio si sposta di città in città, cercando l’Armonia nascosta presente nella realtà circostante.